“Un'altra birra”, biascicò, già infermo sulle gambe, Orzad,
il Nano Sventragiganti che mi trascinavo dietro nella sua ricerca di una morte
gloriosa. E subito gli fece eco Ghigno De La Vega, il nobilastro spadaccino con
un senso dell'onore così spiccato che non sopporta di essere vinto in nulla,
nemmeno in una sfida di brindisi.
De La Vega: uno sbruffone estaliano, senza dubbio, eppure la
sua impareggiabile verve aveva reso più allegre molte serate di navigazione,
prima dello sbarco qui a L’Anguille, per evitare una tempesta. Il fatto ci
ritardava ma, mentre consumavo il mio unico bicchiere di birra, pensavo che
almeno per una notte avremmo dormito all'asciutto.
Lo pensai sino a quando non mi resi conto di avere l'acqua
di mare alle caviglie. L'oste ci gridò di sgomberare, o presto saremmo stati
sommersi: si trattava di una delle occasionali maree anomale che invadevano
tutta l'area portuale della città. Uscimmo di gran fretta, mentre il freddo
dell'acqua (che oramai ci arrivava alle ginocchia, e quasi al petto di Orzard)
aiutava a smaltire le sbornie, e risalimmo a monte, noi tre e il sergente
Imperiale Wilbur Smith che ci accompagnava.
Non era una situazione piacevole, ci rendemmo anche utili
spostando un carico sotto le direttive di un nobilotto locale, ma per qualcuno
era andata anche peggio: cadaveri galleggiavano per le vie ridotte a canali!
Ci avvicinammo, e...ORRORE! Non si trattava di uomini, ma di
orridi mutati, evidentemente adepti di qualche culto blasfemo che io avevo il
dovere imperativo di debellare! Non faticammo a trovare il luogo donde uscivano
questi corpi: uno scantinato nel quale i cultisti erano stati sorpresi dalla
marea ed erano affogati. Riuscimmo a penetrare nell'edificio prima delle forze
dell'ordine, e qui trovammo le conferme che cercavamo: i mutanti erano adepti
del Dio della Malattia, Nurgle! Quasi miracolosamente, erano invece
sopravvissuti alla marea i prigionieri, destinati ad essere sacrificati.
Venivano tutti da un paesello nell'entroterra, che decidemmo quasi
all'unanimità di raggiungere.
A dire il vero, Orzard era scettico, dubitando di poter
trovare una fine gloriosa in un villaggio, ma De La Vega gli sussurrò che da
quelle parti si annidava un Drago, e gli occhi del nano si illuminarono.
Non ci saremmo aspettati il comitato d'onore per aver
riportato i cittadini, ma nemmeno di dover tirar fuori tutte le nostre arti
diplomatiche per evitare che il Barone locale, un certo Lord Enguerrand,
facesse impiccare i prigionieri liberati in quanto fuggitivi e prendesse seri
provvedimenti anche contro di noi.
Ad ogni modo, ci intimò di ripartire al più presto:
evidentemente, aveva qualcosa da nascondere. Noi ci ritirammo nell'unica
locanda del paese (dalla quale peraltro proveniva un boccale trovato nella casa
del culto, insieme ad altri undici), in compagnia dei villici che avevamo
liberati (felici nonostante le frustate con cui il Barone aveva punito la loro
“fuga”) e dei loro congiunti. Ma la sorpresa maggiore fu quando venimmo
avvicinati dal nobilotto che avevamo aiutato spostando il carretto, in città.
Lui ci fece intendere chiaramente che il Barone si comportava in modo dubbio,
poi sparì.
Nella notte, fummo svegliati da una banda di arcieri
mascherati, dei quali decidemmo di fidarci (l'alternativa sarebbe stata
probabilmente la morte...) e che ci aiutarono a superare le ronde predisposte
dal Barone per sincerarsi che l'indomani partissimo realmente, e ci condussero
nel folto della foresta, dove si organizzava una resistenza alle angherie del
Barone stesso, con l'appoggio del nostro nuovo amico nobile. Parlammo a costoro
dei nostri sospetti e costoro si offrirono di portarci nei pressi di una grotta
frequentata dagli Uominibestia, aberrazioni che spesso si accompagnano ai culti
del Caos. Non era la loro guerra, ma ci avrebbero guidati là per senso di
giustizia, poi ce la saremmo dovuti cavare da soli.
Arrivammo sul posto che albeggiava. Nella penombra,
intravedemmo due Uominibestia di guardia: ucciderli fu un attimo, fra i miei
dardi magici e la spada di De La Vega che guizzava.
Lasciato il Nano di guardia, entrammo nella grotta.
Subito, fummo quasi sopraffatti da un puzzo infernale, io
non trattenni i cibi assunti a cena nello stomaco. Poi, entrammo: il puzzo
proveniva da una pentola, posta al centro di una vasta sala colma di immondizie,
ed un cuoco quasi altrettanto immondo si dedicava alla pietanza, senza mostrare
di essersi accorto di avere visite. Di nuovo, la spada di De La Vega fu più
veloce del suo urlo.
Ci trovavamo in un'ampia sala, con svariate porte, di cui
una sontuosa, una sprangata come per non far uscire qualcosa di mostruoso, una
che pareva l'ingresso di una cella. Io e Wilbur ci indirizzammo alla cella,
notando dentro un anziano, che decidemmo di liberare: prima, però, che
potessimo interrogarlo, udimmo urla di allarme e battaglia provenire dall'ampia
stanza centrale: De La Vega aveva aperto una delle porte più anonime, e dentro
c'erano due adepti in preghiera. Ne aveva ucciso uno, ma l'altro aveva gridato
l'allarme, e già altri quattro erano usciti, le armi in pugno.
Sopraffarli, in verità, non fu un grande problema, ma quando
stavamo per tirare un sospiro di sollievo, dalla porta sontuosa si fece avanti
Lord Enguerrand in persona, armato di tutto punto e con una sontuosa armatura,
spavaldo e sicuro di sé: non sapeva chi aveva di fronte.
A dire il vero, all'inizio cominciò a picchiare in modo
feroce, riducendo quasi in fin di vita De La Vega, nonostante i prodigi di
valore di questi, che faceva guizzare la spada e provava ad evitare i
contrattacchi. Quasi senza distrarsi dalla lotta con De La Vega, il Barone
assestò anche alcuni colpi ben piazzati a me e a Wilbur, mentre le nostre armi
riuscivano appena a superare la sua armatura, quand'anche riuscivano a
raggiungerla.
Decisi di rischiare il tutto per tutto: mi gettai nella
mischia, intenzionato a lanciare il sonno, a far addormentare il nostro
avversario in un colpo solo. Fallii. Fallii di nuovo. Al terzo tentativo,
finalmente, il Barone cadde pesantemente addormentato.
Potevamo trarre un sospiro di sollievo. O forse no? Le
membra senza vita del Barone sembravano ribollire, come se si stesse compiendo
una mostruosa trasformazione. Prima che potessimo reagire, entrò nella caverna
una Dama Bianca a cavallo, una maga elfa che lasciò partire dalla verga che
recava in mano un fascio di luce che polverizzò il Barone.
Poi se ne andò.
Senza parlare.
Chi era? Perché ci aveva aiutato? E perché, con la sua
potenza, non era intervenuta prima?
Non lo sapevamo.
Poco dopo (ma non prima che potessimo raccogliere alcuni
oggetti d'oro e preziosi arazzi utili alla nostra indagine), arrivarono anche i
tizi mascherati che ci avevano aiutato nel bosco, si felicitarono con noi: alla
fine, le nostre due guerre erano una sola guerra, come spesso accade a chi
segue la retta via.
Infine, diedero fuoco a tutto, prima che l'infezione del Dio
della Malattia si diffondesse in città. Noi ripartimmo verso l’impero, la
nostra meta originaria.
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